La nave fantasma Mary Celeste riappare al largo delle Azzorre

È il quarto giorno dell’ultimo mese dell’anno, e le acque dell’Atlantico che portano dritte alle porte del Mediterraneo sono placide, quando David Morehouse, capitano della Dei Gratia, posa il cannocchiale sull’occhio per scrutare l’orizzonte, imbattendosi nella nave che gli appare subito come lo spettro inquietante di una vicenda misteriosa.

Sul brigantino, comparso dal nulla, non c’è più traccia di nessun membro dell’equipaggio. Otto marinai e due passeggeri, moglie e figlia del capitano, sembrano essere scomparsi nel nulla. È al cospetto di una nave fantasma.

A bordo della Mary Celeste, varata undici anni prima con il nome di Amazon a Spencer’s Island in Nuova Scozia, viene trovato cibo commestibile e ancora nei piatti, e viveri sufficienti a passare altri sei mesi per mare. Insieme al cibo, ci sono un’abbondante riserva di acqua ancora perfettamente potabile, gli effetti personali del capitano, dei membri dell’equipaggio, e di entrambi i passeggeri, compreso denaro e oggetti di valore. Non può trattasi di un caso di pirateria durante il quale l’equipaggio è stato brutalmente assassinato o dato, come si sul dire nei vecchi romanzi marinareschi “in pasto ai pesci”. Non c’è traccia di sangue. Né di uno dei tanti casi in cui la malattia o la fame, che troppo spesso sfocia nel cannibalismo, hanno decimato l’equipaggio, costringendo i superstiti ad abbandonare una nave che non erano più in grado di governare o per non essere “contagiati”.

Ciò che la fa apparire davvero una nave fantasma agli occhi del primo ufficiale della Dei Gratia, Oliver Deveau, che sale a bordo per ispezionarla, sono le vele in parte squarciate, come se avessero da poco attraversato una tempesta senza essere state ammainate. Ma quello che inquieta è anche il ponte grondante d’acqua, come anche le stive, dove si affonda il corpo in quasi un metro d’acqua per scoprire che il carico di ben 1701 barili di alcol denaturato è totalmente intatto e al suo posto. È mal ridotta la bussola, che non punta più a nord, non funzionante l’orologio, e mancano il sestante e il cronometro marino, come anche l’unica scialuppa di salvataggio. Solo accedendo all’alloggio del capitano, Benjamin Spooner Briggs, i marinai entrati nella nave scoprono che l’ultima annotazione sul diario di bordo risale al 25 novembre, quando la Mary Celeste era giunta al largo dell’isola di Santa Maria delle Azzorre, avvistando terra.

Cos’è accaduto in quei nove giorni resta un mistero. Nessuno riesce a capire quale sia stato il destino dell’equipaggio, che in tempi più recenti gli amanti delle teorie più estreme l’hanno addirittura collegato a uno dei famigerati rapimenti alieni. Ma allora, in secolo ancora pregno di suggestioni e superstizioni, si mormorava potesse essersi abbattuta soltanto la “malasorte” di quella nave, che aveva già patito diversi incidenti e incendi in mare, e la morte del suo primo capitano dopo solo nove giorni dall’inizio del suo viaggio inaugurale.

Quando la Mary Celeste è condotta a Gibilterra dall’equipaggio del vascello canadese, viene aperta un’inchiesta estremamente approfondita per far luce sull’accaduto. Condotta da alti funzionari britannici e durata tre mesi, l’inchiesta attira l’attenzione della stampa del nuovo e del vecchio mondo a causa del mistero fittissimo che vede la scomparsa, se non il decesso, di ben dieci persone senza alcuna spiegazione. Viene anche convocato un esperto sommozzatore per scandagliare lo scafo in cerca di anomalie o segni sospetti, non trovando nulla di “strano”.

Sarebbe inutile citare, nel tentativo di spiegare l’arcano, il diario fasullo di tale Abel Fosdyk, personaggio mai esistito che divulgò anni dopo i contenuti di un diario basato sulla sua fervida fantasia, raccontando di un attacco di squali sopraggiunti durante un bagno imprevisto, che lo avevano visto come unico superstite, fuggito alla volta delle coste nordafricane. Antiquato caso di fake news, o antesignano modo di procurarsi denaro spacciando storie inventate per veritiere. Ma è dovere di cronaca, per quanto passata.

Tra tutte le teorie – che hanno tutte previsto un abbandono della nave fantasma attraverso l’unica scialuppa dove forse era stato portato il sestante e alcune carte nautiche – quella che viene maggiormente avvalorata fu quella della combustione dei vapori dell’alcol trasportato nei barili – nove apparvero vuoti – che avrebbe indotto l’equipaggio ad abbandonare la nave per poi morire in una tempesta. Mentre speravano di raggiungere, forse, le Azzorre. La tesi induce gli inquirenti a chiudere l’inchiesta ma non verrà mai trovata traccia né della scialuppa né dei corpi di quelle dieci anime perse per sempre nell’Oceano. Pochi superstiziosi o visionari iniziano a credere al sopraggiungere del Kraken o di qualche altro mostro marino. Meno di quanti invece iniziano a sospettare di una cospirazione messa a punto dal capitano di lungo corso della nave, descritto come uomo gentile e ben visto, che avrebbe previsto l’omicidio di tutto l’equipaggio per moventi apparentemente assenti.

In seguito al dissequestro, la nave avrà numerosi proprietari, che nonostante la sua oscura storia decideranno poi di impiegarla regolarmente come mercantile per il trasporto delle merci più disparate. L’ultimo viaggio della Mary Celeste finirà su una scogliera ad Haiti nel 1885, condotta lì dal suo ultimo capitano, G. C. Parker, nel tentavo di mettere a segno una truffa assicurativa mettendo in scena un naufragio. L’inganno non solo non avrà successo, ma Parker rischierà di finire sulla forca. Salvato alla condanna a morte dalla giuria, morirà tre mesi nelle galere dimenticate di una piccola isola. I suoi due complici invece, finiranno uno in un manicomio e l’altro suicida.

Il relitto della Mary Celeste invece, giace a tutt’ora sui bassi fondali del reef. Con il suo carico di misteri irrisolti. Sepolti tra le assi di legno fradicio e scuro, che lasciano intravedere ancora la sagoma di una nave fantasma tra la sabbia bianchissima; di quelle che rimandano la memoria al tempo delle tetre leggende tramandate dai pirati che solcavano in lungo e i largo i sette mari.

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